L’Acqua è vita ed essa stessa è fonte di vita, e per tale motivo è il più importante dei Beni Comuni. L’Acqua è un Diritto Umano Universale riconosciuto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 28 luglio 2010 tramite l’approvazione di una risoluzione proposta dalla Bolivia che sancisce l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari tra i diritti umani fondamentali.
Come ogni diritto fondamentale che spetta ad ogni essere umano, l’Acqua non può sottostare né alle regole del mercato né tanto meno alla logica del profitto, in quanto il profitto sarà tanto più alto quanto più bassi saranno i costi della sua gestione. Ciò si realizza con una politica gestionale volta alla diminuzione degli investimenti, alla precarizzazione della forza lavoro, all’aumento tariffario a cui sono sottoposti i cittadini.
Inoltre, come regola di mercato vuole, esistono condizioni che potrebbero favorire l’aumento di profitto. Quest’ultimo per essere il più alto possibile necessita che il bene sia poco disponibile sul mercato. Ciò implica che quando l’offerta del “bene Acqua” rimane bassa mentre la domanda è costantemente alta (in quanto ognuno vive grazie all’Acqua), la risorsa acquista maggior valore economico. Questo concetto di “offerta e domanda” se applicato ad un diritto come l’Acqua, può avere conseguenze devastanti sulla popolazione mondiale in quanto chi controllerà le risorse idriche, indirettamente controllerà la vita stessa degli esseri umani.
La trasposizione nella realtà di questo concetto avvenne nel decennio 1990-2000 in Bolivia dove il Governo affidò il servizio idrico della città di Chochabamba alla multinazionale statunitense Bechtel e alla italiana Edison. Questa privatizzazione ebbe quasi immediatamente i suoi effetti, con un vertiginoso aumento del costo del servizio che portò la popolazione a vivere situazioni drammatiche, scatenandone l’ira, anche violenta, fino alla riappropriazione del bene. Non a caso la Bolivia ha completamente cambiato politica tanto che 10 anni dopo, fu lo stesso stato sudamericano che propose la risoluzione alle Nazioni Unite sul diritto all’Acqua potabile.
Purtroppo negli ultimi 30 anni, a causa della pubblicità e del marketing, le popolazioni sono arrivate a considerare l’Acqua come una bibita e non più come un diritto. Addirittura è opinione comune pensare che l’Acqua minerale sia più controllata e sana dell’acqua del rubinetto. La pubblicità rivolta alle popolazioni e le pressioni lobbistiche verso i Governi, promosse dalle multinazionali, hanno fatto passare il terribile messaggio che l’Acqua sia un “bisogno” e non un “diritto”. Tale aberrazione ha avuto il suo culmine nel 2009 al World Water Council (WWC) svolto ad Istanbul, in cui i colossi del business dell’Acqua hanno sancito che l’acqua fosse un “bisogno”. La differenza tra “diritto” e “bisogno” non è neutra ma sostanziale in quanto il “bisogno” si riesce a soddisfare solo se si ha la capacità economica di soddisfarlo, mentre un “diritto”, in quanto tale, spetta ad ogni essere umano a prescindere dalla capacità economica di cui dispone.
Breve cronistoria del contesto italiano
Il contesto italiano ha avuto un peggioramento in questo senso dal 1994, con una serie di norme tra cui la famosa “Legge Galli” con cui le “municipalizzate” che erano per lo più aziende speciali – soggetti giuridici di diritto pubblico – sono divenute Srl o Spa – soggetti giuridici di diritto privato. E’ necessario sottolineare che anche quando il capitale è pubblico, la Srl o la Spa, agendo secondo scopi e fini privatistici, punteranno per legge alla divisione dell’utile a fine anno, che sarà tanto più alto quanto più bassi saranno i costi del servizio in capo al gestore. Inoltre, nel 1999 è stato definito con il DPR 158, il “metodo normalizzato” per quello che è la composizione delle voci della modalità di calcolo della “Bolletta dell’Acqua”, sostanzialmente formato dai costi operativi, dai costi d’investimento e dalla remunerazione del capitale ergo il profitto stabilito in tariffa.
Questo ha avuto pesanti ripercussioni sui cittadini che progressivamente si sono trovati con servizi sempre più scandenti e tariffe sempre più alte, anche quando la proprietà del capitale è pubblica.
Nel 2007, il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ha raccolto oltre 400 mila firme per una proposta di legge d’iniziativa popolare per ripubblicizzare il servizio idrico in Italia e instaurare una gestione pubblica e partecipata. Tuttavia i Governi sono stati sordi alle proposte giunte dal basso e hanno continuato a imporre norme sempre più privatizzatrici arrivando, con il DL 112 del 2008, art. 23-bis, non solo all’imposizione di privatizzazioni forzate tramite i bandi di gara del servizio idrico integrato (SII), ma anche di tutti gli altri servizi pubblici locali come quello della gestione dei rifiuti urbani (RSU) e del trasporto pubblico locale (TPL).
Tuttavia nel 2010, grazie alla grande mobilitazione popolare referendaria su spinta iniziale del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e, in Puglia, del Comitato Pugliese Acqua Bene Comune (con una raccolta firme che ha battuto tutti i record con ben 1,4 milioni di cittadini sottoscrittori dei quesiti referendari, 105 mila solo pugliesi) e la successiva votazione avvenuta il 12 e 13 giugno 2011, dove oltre 27 milioni di italiani hanno votato SI all’abrogazione del 23-bis e delle norme che imponevano la remunerazione del capitale in tariffa, si è tornato a ridiscutere dell’importanza dell’Acqua come bene comune e di una gestione pubblica e partecipata.
Purtroppo la discussione è rimasta a livello della popolazione perché i vari Esecutivi che si sono alternati al Governo hanno continuato in maniera sempre più chirurgica e sottile a spingere i servizi pubblici locali verso la privatizzazione. Da allora la battaglia non è terminata e in Italia si è continuato a proporre norme che vanno verso la privatizzazione, come ad esempio l’articolo 7 del DL 133 del 2014 “Sblocca Italia” e gli ultimissimi Decreti “Madia” del 2016 che riportano i servizi pubblici locali verso il mercato. C’è da scommetterci che presto i movimenti dal basso proporranno nuove iniziative al fine di tornare a una gestione pubblica e partecipata.
“Pubblica” in quanto solo una gestione pubblica (che non sia una Spa o Srl) potrà garantire il soddisfacimento del diritto all’Acqua Potabile, quantificato in 50 litri gratuiti pro-capite giornalieri, e “Partecipata” per garantire quella democratizzazione e trasparenza del servizio atta a spazzar via ogni tipo di gestione clientelare.
Ecco perché …. “Si scrive Acqua ma si legge Democrazia”
Giovanni Vianello